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Ogni analisi presuppone criteri di classificazione, ossia di raggruppamento o scomposizione dell’insieme dei dati che si vogliono studiare.

di Graziano Guazzi

Il fatturato può essere utilmente analizzato classificando il Mercato (Bar, Ristoranti, Mense, etc.) e le Merceologie (Bevande Piatte, Birre, Vini, etc.).

In tal modo, ad esempio, è possibile scoprire che:
“Il fatturato delle Bevande Piatte segna un +2,5% nel segmento Bar a fronte di un -4% nel segmento Ristoranti. Nessun cambiamento nelle restanti quote di mercato”.

La domanda

La chiarezza della frase precedente, nasconde un potenziale problema: i termini Bevande Piatte, Bar e Ristoranti (in statistica questi raggruppamenti si chiamano cluster) hanno un significato preciso e condiviso da tutti gli operatori del mercato? In altri termini, quali sono i criteri per classi care una referenza come Bevanda Piatta e un punto vendita come Bar o Ristorante?

La risposta

La risposta è No. Lo dimostra il fatto che ogni Operatore (migliaia) utilizza propri criteri di classificazione e che le tabelle risultanti (i cluster) sono molto spesso incomparabili. Un’ipotesi è che ogni Operatore abbia suddiviso, ad esempio, la clientela tenendo conto delle proprie necessità di analisi.
E’ del tutto comprensibile che chi sviluppa il 50% del proprio fatturato con i privati, abbia esigenze di analisi affatto diverse da chi i privati non li serve o lo fa marginalmente. Posto che questa sia una buona ragione, ci possiamo allora domandare: che capacità informativa hanno questi cluster all’esterno dell’azienda che li ha concepiti? Questione fondamentale se si pensa che sempre più spesso Operatori / Consorzi / Industria considerano strategico condividere i dati di sell in e sell out.

Vocabolario

Come è noto, oltre al Dizionario Linguistico (esempio: italiano), esistono quelli specializzati (esempio Dizionario Medico) che contengono definizioni e informazioni tecniche, circoscritte e destinate a specifiche professioni. In entrambi i casi, è una raccolta di parole, un sapere, un esperire, che appartiene a una comunità (più o meno ristretta), il cui adeguamento ai tempi non dipende da qualche membro di quella comunità, bensì da nuove necessità e interessi, da oggetti che prima non esistevano o che ora non esistono più (esempio mestieri).
Si pensi a tutte le nuove parole nate con Internet. Oppure al lemma virus e si confronti la definizione data da Treccani on-line con quella data da un vocabolario di una ventina di anni fa.
Quando un neologismo inizia a funzionare, ossia il suo uso è sufficientemente diffuso (corrisponde alle nuove necessità assumendo una portata esplicativa – concettuale ed esperienziale), entra ufficialmente nel Vocabolario.

TRECCANI

vìrus s. m. [dal lat. virus «veleno»], invar. – 1. In biologia, termine con cui si designa un gruppo di organismi, di natura non cellulare e di dimensioni submicroscopiche, incapaci di un metabolismo autonomo e perciò caratterizzati dalla vita parassitaria endocellulare obbligata, costituiti da un acido nucleico (genoma) rivestito da un involucro proteico (capside). Quando un virus riesce a penetrare all’interno di una cellula con la quale è venuto in contatto, il suo genoma si integra nel materiale genetico della cellula ospite alterandone così il patrimonio genetico e obbligandola a sintetizzare acidi nucleici e proteine virali e quindi alla replicazione del virus. Il genoma virale può essere costituito da DNA o da RNA, cosicché si distinguono virus a DNA o desossivirus e virus a RNA o retrovirus. I virus sono parassiti di animali, piante, batterî, e sono gli agenti eziologici di numerose malattie: in patologia umana una particolare importanza rivestono i virus implicati nella genesi dei tumori (v. oncogeni, papovavirus), i retrovirus associati ad alcuni linfomi, il retrovirus responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). Oltre ai virus descritti sono poi stati individuati agenti infettivi più piccoli e più semplici, responsabili di alcune malattie delle piante, come i viroidi, i virini, i virusoidi, e degli animali, come i virus lenti non convenzionali o prioni; tra questi ultimi sono compresi gli agenti eziologici dello scrapie (v.) della pecora e di alcune malattie del sistema nervoso dell’uomo, tutte caratterizzate dal lungo periodo di incubazione e dal prolungato decorso, quali il kuru (v.) e un tipo di demenza presenile, associata a varie manifestazioni neurologiche, chiamata malattia di Jakob-Creutzfeldt (dai nomi dei neuropsichiatri tedeschi A.M. Jakob e H.G. Creutzfeldt, che ne descrissero il quadro clinico). Per gli ECHO virus o virus ECHO, v. echovirus. 2. fig. a. Intensità quasi patologica di affetti, sentimenti, passioni, istinti irrefrenabili e dannosi: è entrato nel suo animo il v. della gelosia, del sospetto; lo ha rovinato il v. del gioco d’azzardo; si sta nuovamente diffondendo il v. del razzismo. b.

Nuovo signifcato:
In Informatica, insieme di istruzioni destinato a danneggiare un sistema di elaborazione (per es., attraverso la cancellazione di parte delle memorie) o a eseguire determinate operazioni all’insaputa dell’utente del computer (per es., comunicare dati personali a un sistema remoto); può essere introdotto direttamente o, più spesso, mascherato all’interno di programmi apparentemente innocui che, duplicati e trasmessi inconsapevolmente da un utente all’altro, diffondono il virus su larga scala con modalità «epidemiche». Sotto l’aspetto tecnico e funzionale, i virus informatici sono oggi distinti in varie categorie (dialer, trojan horse, worm, backdoor, spyware, ecc.: v. le singole voci), globalmente riconducibili sotto l’etichetta di malware (propr. malicious software, in ital. «codice maligno»).

Che differenza passa tra il ghiaccio e la neve?

Una teoria piuttosto controversa, ma comunque interessante, proposta all’inizio del secolo scorso dall’antropologo americano Franz Boas, suggerisce che, ad esempio, per un italiano può bastare un unico termine con cui identificare la neve, ma nella lingua degli eschimesi, per cui rappresenta letteralmente una questione di vita o di morte, di parole ne occorrono di più.
Secondo Boas il vocabolario di una lingua sarebbe fortemente influenzato dalle necessità e dagli interessi delle persone che la parlano e viceversa, che i nostri processi cognitivi siano determinati e limitati, almeno in parte, dalla lingua che parliamo.
Ad esempio, le popolazioni che abitano in luoghi caldi tendono realmente a fare meno distinzioni quando parlano di neve. Lo comprova una più recente ricerca che ha analizzato oltre 300 lingue.
I ricercatori hanno confermato che moltissime comunità linguistiche a queste latitudini identificano neve e ghiaccio con un’unica parola, come capita per esempio nella lingua hawaiana con il termine “hau”.

LUISS Business School

Al di là della valenza esplicativa di questa teoria gnoseologica/antropologica, certamente il significato di bar, per alcuni amici che si mettono d’accordo sull’ora del ritrovo, è meno problematico di quello dato dal Distributore o un’Industria quando analizzano i rispettivi fatturati.
Se tutto questo è credibile, se le parole (almeno in parte) sono influenzate dalle necessità di chi le usa, le oggettive difficoltà di comparazione dei Cluster usati dagli Operatori dipendono esclusivamente da diversi bisogni?
Esiste la possibilità di costruire e condividere con rigore un vocabolario di settore senza sacrificare i bisogni informativi di tutta la filiera?
E’ questo l’argomento di stage che Bollicine Community ha chiesto di sviluppare a due studenti iscritti alla prima edizione del Master in Trade Management del Consumo Fuori Casa. Il risultato atteso è una proposta metodologica con la spiegazione dei suoi razionali. Impresa ambiziosa, ma non impossibile. Non ci resta che aspettare (ormai, a breve) i risultati.