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di Graziano Guazzi

Non ti preoccupare … ti telefono

L’informatica da sempre evolve in modo sorprendente e la connettività ha negli ultimi anni impresso un’accelerazione vertiginosa. I suoi effetti sono sotto gli occhi di tutti: per strada, sui mezzi pubblici, al cinema, alla partita, al ristorante: insomma in ogni luogo, a qualsiasi ora e a prescindere da cosa stiano facendo, la quasi totalità delle persone maneggia uno schermo.

A tale proposito, mi viene in mente una storiella davvero azzeccata.

Un tizio incontra per caso l’amico del cuore, che, come quasi sempre accade, la vita aveva portato in altri luoghi. Chiaramente emozionati, si abbracciano e sorridono quasi increduli. Inizia la conversazione, ma dopo poche battute trilla un telefono: “scusa un attimo, è importante!…”. La conversazione riprende, ma subito viene interrotta da un nuovo trillo: “scusami, facciamo in un attimo…”. Ricominciano a parlare, ma di nuovo il trillo e di nuovo le scuse… la cosa si ripete ancora qualche volta fino a quando, chiusa l’ultima telefonata, grida all’amico, che nel frattempo, scocciato si stava allontanando: “scusa ma dove vai?”. “non ti preoccupare … ti telefono!”.

Su questo uso smodato della connessione, è uscito un libro davvero interessante: “Felicemente #sconnessi. Come curarsi dall’iperconnettività”, di Frances Booth, Editore De Agostini”. La sua tesi è che ci stiamo perdendo i lampi di genio, i momenti illuminanti. I nostri pensieri seguono il corso stabilito dalle richieste esterne (dall’amico di Facebook che dobbiamo per forza commentare subito o dal conoscente su twitter che dobbiamo rituittare per dirgli che la pensiamo come lui). Così come per dire che abbiamo avuto un pensiero valido, lo dobbiamo prima postare, per vedere l’effetto che fa.

Lia Celi – che con la solita ironia firma l’introduzione al libro – prima sostiene il partito dei sempreconnessi e poi ci pone il dubbio: “oggi, più contatti e informazioni possiedi e più hai possibilità di successo e carriera. E basta un minuto di sconnessione per perdere un’occasione e lasciarla a tutti quelli che sono on-line. Ma attenzione: come in tutte le dipendenze, c’è una scontentezza di sé che sotto sotto è bisogno d’amore. Imparare a sconnettersi è in fondo imparare ad amarsi”.

Ma la dantesca legge del contrappasso (dal latino contra e patior, “soffrire il contrario”) non perdona. Succede, infatti, che l’informatica trovi resistenza là dove potrebbe essere più utile: nelle nostre Aziende.

Enfasi ai limiti della tecnologia

Far crescere le nostre Aziende, non si riduce a sostituire una macchina vecchia con una più potente. Al mettersi in Rete. Significa prima di tutto cambiamento e crescita culturale nello stile e nei metodi di direzione aziendale, nelle formule organizzative, nel disegno dei processi operativi e della tecnologia a supporto. Ed è proprio la portata culturale di questo cambiamento, prima delle difficoltà tecniche e dei relativi costi, che spesso costituisce una vera e propria barriera alla sua diffusione.

Un esempio emblematico, facilmente verificabile tramite una sincera autodiagnosi, è la gestione delle scorte di magazzino. Nonostante siano noti pressoché a tutti gli operatori del mercato l’importanza e il costo delle scorte di magazzino, è singolare scoprire che, fatte le dovute eccezioni che confermano la regola, le PMI non usano modelli matematici (per dirla con un termine ormai famigliare a tutti: un’APP, nel senso lato  di applicazione, software, programma), che sarebbero in grado di fare previsioni di vendita suggerendo cosa, quando e quanto acquistare al fine di minimizzare gli investimenti, accontentando la domanda.

Un secondo esempio significativo è la gestione delle consegne e del ritiro dei vuoti. Anche in questo caso, la quasi totalità delle  Aziende gestisce il processo a mano, sopportando costi levati (una recente ricerca li ha quantificati per una media Azienda in 10.000 Euro all’anno), ma soprattutto rinunciando a dati oggettivi che potrebbero individuare sacche di inefficienza quali, KM, orari, percorsi, ritardi, etc…

Non c’è due senza il tre, come ultimo esempio di resistenza al rinnovamento, posso portare l’APP dedicata alla forza vendita. La maggior parte delle Aziende ha meccanizzato questo processo, ma riducendolo ad una semplice raccolta di ordini. In realtà, i dispositivi mobile sono oggi in grado di rendere disponibili i dati, anche off line (vedi articolo sul numero precedente), per trasformare i dati in informazioni, ossia una conoscenza che dà forma all’azione.

Sia ben chiaro che non credo nell’uso dell’informatica a discapito dell’esperienza; per dirla con Tom Davenport (1997), l’informazione e la conoscenza sono essenzialmente creazioni umane, e non riusciremo a gestirle efficacemente se non assegniamo alle persone un ruolo primario: gli investimenti nella tecnologia, punto e basta, non funzionano. “Quello che conta è l’esperienza di uomini che fanno ogni giorno quel tipo di lavoro”: questo è quello che spesso mi sento dire, ogni giorno. E sono d’accordo. Ma è anche vero che l’enfasi posta ai limiti di una disciplina, il più delle volte solo per un atteggiamento difensivo nei confronti di materie e tecnologie poco conosciute, porti ad associare il concetto di teorico a quello di non pratico. E’ mia convinzione che, strategicamente e in linea di principio, per certe attività, non ci sia nulla di più pratico di un modello teorico supportato dalla tecnologia per dare un apporto decisivo alla gestione delle regolarità, lasciando più tempo all’attività umana per gestire le singolarità, gli eventi non considerati dai modelli.

Il dovere dell’informazione

Concludo riportando la mia convinzione che spetta all’Imprenditore e alla dirigenza trovare un giusto (non il giusto, perché ogni realtà è diversa) mix tra ESPERIENZA e APP (tra uomo e macchina).

Spetta loro uscire dal modello “informatica come scelta subita” (uomo o computer) per passare al modello “informatica come scelta strategica (uomo e computer).

Loro ciclico compito è rimettere in discussione, se non altro in termini di principio, quello che si è sempre fatto, aprendosi a best practice (modelli virtuosi) rese sempre più accessibili anche alla PMI dagli sviluppi dell’informatica (in senso lato Hardware e Software).

Spetta loro capire quando è il momento uscire dal paradigma della ripetizione di se stessi, come prima, più di prima.

Forse, rubando il pensiero di Lia Celi, in questo caso, imparare a connettersi è in fondo imparare ad amare la propria Azienda. Forse.

Secondo gli ultimi dati provenienti dagli Stati Uniti, una persona controlla mediamente il proprio smartphone circa 150 volte al giorno, alla ricerca di notifiche, messaggi e informazioni: in pratica ogni 6 minuti. Coloro che non riescono a staccare gli occhi dal telefonino sono stati definiti malati di fomo, cioè di iperconnettività.
Fomo significa letteralmente “paura di essere tagliati fuori”, ed è quel timore di perdersi qualcosa che appare su facebook o tweetter e che possiamo tenere d’occhio guardando sui nostri telefoni. Una paura che porta a controllare in modo compulsivo il cellulare per vedere cosa accade ad amici, conoscenti e sconosciuti.
Secondo degli studi effettuati dall’università di Oxford, la Fomo è una sindrome che colpisce maggiormente i giovani maschi, e soprattutto coloro che sono insoddisfatti della propria vita.